C’è un’America da ricostruire

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C’è un’America da ricostruire

L’imponente piano di investimenti infrastrutturali promessi dal presidente Trump è stato accolto con entusiasmo dai mercati ma deve ancora superare diversi problemi. Primo tra tutti quello del finanziamento.

Il mercato ha deciso subito di scommettere su una delle promesse più impegnative di Donald Trump: ristrutturare e rivitalizzare strade, ponti, aeroporti in tutta America. Il presidente si è impegnato a presentare un imponente piano di ricostruzione infrastrutturale, che dovrebbe creare milioni di posti di lavoro, con investimenti che potrebbero superare i tremila miliardi di dollari su un orizzonte pluriennale. Il programma, che ha suscitato entusiasmo a Wall Street fin dalle prime settimane dell’entrata in carica del nuovo presidente, è stato affidato a Elaine Chao, un’americana di origine taiwanese scelta da Trump per guidare il Dipartimento ai Trasporti. Ora la Chao sta lavorando a mettere insieme una ‘task force’ infrastrutturale che dovrebbe presentare al Congresso la lista delle cose da fare che andrà convertita in provvedimenti legislativi possibilmente prima delle vacanze estive.

I contorni precisi del piano non sono ancora noti, ma il presidente Trump ha comunque indicato che gli investimenti nel solo settore dei trasporti ammonteranno a qualcosa tra i $500 miliardi e $1.000 miliardi. Alcuni parlamentari temono che il bilancio federale non sia semplicemente abbastanza grande da sostenere lo sforzo, ma il piano dovrebbe impiegare soprattutto risorse private che andranno attratte con una serie di benefici fiscali. Trump e la sua squadra hanno fatto chiaramente intendere che preferiscono investimenti private per gli interventi prioritari nei trasporti, con meccanismi di incentive finanziari. Secondo questo modello, noto come partnership pubblico-privato, le aziende sottoporranno le proprie offerte per I vari progetti, che una volta realizzati esse stesse provvederanno a manutendere, recuperando i costi con la messa a reddito delle infrastrutture realizzate, ad esempio con I pedaggi, o con il graduale rimborso dello stato. Tra le proposte lanciate da Trump c’è anche quella di prevedere $137 miliardi in crediti d’imposta alle aziende che finanzieranno i progetti di trasporto, che secondo le sue stime dovrebbero sbloccare investimenti fino a $1.000 miliardi sull’arco di 10 anni.

Ma Chao non esclude neanche qualche tipo di intervento finanziario diretto federale sui trasporti. Anche se il piano richiede qualche contributo pubblico per realizzare le infrastrutture, Trump si dice quasi certo di poter fare affidamento soprattutto sui finanziamenti privati, soprattutto perchè si tratta di una modalità di investimento che dovrebbe essere più gradita ai parlamentari repubblicani. Alcuni inoltre segnalano l’importanza della componente regolatoria per realizzare il piano infrastrutturale, sostenendo la necessità di sgombrare la strada da una serie di lacci a laccioli che rallentano il processo.

In ogni caso, esiste certamente un largo consenso sul fatto che la dotazione infrastrutturale abbia urgente bisogno di essere ammodernata. L’associazione degli ingegneri civili ha già dichiarato che anche i mille miliardi di cui parla Trump sono pochi, di miliardi di dollari ne servono 3.600, secondo le loro stime, per rimettere in efficienza strade, aeroporti, oleodotti e simili. Il cuore del problema tuttavia non è la cifra da impegnare, ma come verrà allocata. La risposta sembra essere che i soldi andranno soprattutto su progetti che i privati saranno disposti a finanziare perché vedono prospettive di utile. Il privato sistema una strada se può ricavarne un ritorno dell’investimento. Questo però vuol dire che le nuove infrastrutture dovranno essere pagate in qualche modo dagli utilizzatori, ad esempio con il pedaggio. E gli incentivi fiscali indubbiamente favoriranno gli investimenti diretti a questo tipo di esercizio a pagamento, secondo la International Bridge, Tunnel and Turnpike Association. Il piano alla fine sembra non fare ricorso al denaro del contribuente, o almeno farvi ricorso moderatamente.

Ma gli americani non potranno evitare comunque di contribuire, non pagheranno subito, ma pagheranno dopo, con i pedaggi e altre formule, quando le infrastrutture saranno realizzate.

Lo spaccato dei grandi progetti
Uno spaccato sui principali progetti che potrebbero essere finanziati dal piano di infrastrutturazione di Trump viene offerto da un documento fatto circolare tra i governatori degli Stati USA. La lista dei progetti citati comprende alcuni grandi aeroporti e stazioni ferroviarie, come la Union Station di Washington, autostrade e ponti, come il rifacimento dell’Arlington Memorial Bridge in Virginia, e interventi nei trasporti di massa, come il sistema di metropolitana leggera Purple Line lightrail nel Maryland. La lista comprende anche la rimessa a nuovo del sistema di torri di controllo aero dell’intero paese, centrali idroelettriche e reti energetiche, così come porti e canali. L’elenco preliminare comprende anche il rifacimento e l’espansione di molti aeroporti, tra cui quelli di St. Louis, Kansas City e Seattle. La rimessa in efficienza di grandi connessioni stradali interstato è anche prevista, e comprende la Interstate 95 in Pennsylvania, North Carolina e Florida.